Jim Colbert – Stati Uniti d'America
Jim Colbert, di Julian in California, ha studiato Teosofia tutta la vita, è un relatore di fama ed è autore di molti articoli, nonché “patriarca” delle International Theosophy Conferences.
[La rivista Vidya ( http://www.theosophysb.org/site/publications.html ) , edita dai membri della United Lodge of Theosophists di Santa Barbara, USA, ha pubblicato il seguente articolo nella sua edizione primaverile 2017; quella che segue è una versione leggermente riveduta e corretta.]
"L’anima lavora in un costante ciclo di rinnovamento e progresso verso qualcosa, pertanto il trucco è scoprire cos’è quel qualcosa nella vostra attuale esistenza. Qual è lo scopo scelto dalla vostra anima per questa vita? Che cosa vuole imparare? A che cosa sta contribuendo?
Tratto da: The Secret Within: No-Nonsense Spirituality for the Curious Soul, dell’autrice olandese Annemarie Postma.
La domanda “perché io sono disabile e gli altri no?”, tormenta molte persone diversamente abili. Perché io? V’è in ciò un qualche significato speciale, che devo comprendere? E se sì, quale? Naturalmente queste domande vanno ben oltre la disabilità. Avere la sensazione “di dover fare qualcosa con questa vita”, ma “di non avere certezza sul cosa”, è il lamento di molti.
La disabilità implica un certo grado di sofferenza. E sicuramente l’80% degli oltre 6 milioni di persone diversamente abili che vivono nel Terzo Mondo ne è la prova. Tra questi, coloro che sono privi di denaro o di un sistema assistenziale sono spesso affamati e vivono in un ciclo senza fine di deprivazione. La condizione della disabilità porta con sé un carico pesante. La società, nel suo insieme, guarda alla disabilità con imbarazzo. Benché negli Stati Uniti vi siano importanti legislazioni federali, al riguardo, il tasso di occupazione per i disabili è del 41%. La maggior parte di loro viene sostenuta da fondi governativi. Con denaro sufficiente a disposizione e una famiglia che li sostenga, molti disabili possono cavarsela bene, si adattano alla condizione e sono indipendenti, ma la maggioranza, in ogni parte del mondo, vive senza fondi o sostegno. Di solito il supporto, per coloro che ce l’hanno, viene dagli amici o dalla famiglia, che pagano per la loro assistenza un pesante tributo. Dunque, la disabilità non coinvolge solo milioni di sofferenti, ma ulteriori milioni di persone, che sono coloro che se ne prendono cura.
James Carlton, nel suo libro Nothing About Us Without Us: Disability, Oppression and Empowerment , afferma:
“In tutto il mondo, le persone diversamente abili rimangono emarginate e vivono, tra la popolazione, nella vergogna e nello squallore, senza risorse per l’assistenza e qualcuno che comprenda appieno la loro condizione. E poiché il loro numero cresce rapidamente, la loro situazione peggiora sempre più… Si crede normalmente che non si possa fare niente, per i bambini disabili, e questo ha a che fare con i pregiudizi e con quel vecchio modo di pensare che ritiene tale condizione una punizione di Dio, o di spiriti malvagi, o in conseguenza di un sortilegio… c’è una situazione catastrofica, per quanto attiene i diritti umani… Essi [i disabili] sono un gruppo senza nessun potere”.
Carlton ancora scrive:
“Milioni di disabili muoiono di fame, e ancor più ve ne sono di affamati. Il sottosviluppo ha prodotto miseria, per centinaia di milioni di persone con disabilità. Esse rappresentano il gruppo più povero e isolato nei luoghi più miseri e remoti”.
La domanda “Perché sono in queste condizioni, senza denaro né assistenza”, è simile a quella “Come mai devo portare questo pesante carico karmico?”. Chiedere quale sia il significato di ciò può sembrare un lusso, vista la carenza di risorse necessarie per sopravvivere. Comunque, la citazione di Nietzsche: “Colui che ha un PERCHE’ per cui vivere, può sopportare quasi ogni COME” è pertinente. Una delle ragioni più citate sul “perché” della disabilità è che essa è “e una pura casualità”. È semplicemente capitato. L’idea del caso o della coincidenza sarebbe qualcosa che in molti prendono in considerazione. È capitato di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. In altre parole, la disabilità non avrebbe un significato, e in un certo senso questo è l’atteggiamento assunto dalla maggior parte dei disabili. Talvolta un diversamente abile si sente dire: “Sei così coraggioso, è straordinario che tu faccia quello che fai anche se sei disabile. Non saprei certo fare quel che fai tu con il tuo handicap”. Questo è un grosso granchio nei confronti di molti disabili. Essi ritengono di stare semplicemente facendo del loro meglio, considerata la loro condizione. Non vedono qualcosa di speciale in tutto ciò, stanno solo cercando di adeguarsi a quanto è stato loro dato.
La teoria della “casualità” è molto diffusa nelle moderne scienze. Prendiamo per esempio l’affermazione di Edward O. Wilson – uno scienziato che ha vinto il premio Nobel e che, nel suo libro The Meaning of Human Existence [Il significato dell’esistenza umana, NdT] ha scritto: “L’umanità è nata come incidente evolutivo, un prodotto di una mutazione casuale e della selezione naturale. La nostra specie è stata semplicemente un punto di arrivo dei numerosi intrecci di un singolo lignaggio dei primati del Vecchio Mondo (proscimmie, scimmie, scimmie antropomorfe, umani) di cui oggi troviamo varie centinaia di altre specie native. In altre parole, l’esistenza tutta non ha ‘significato’, tanto meno la disabilità. ‘È semplicemente accaduto’”.
Un’altra teoria riguardante il “perché” della disabilità è che ci sia qualcosa di intrinsecamente sbagliato, in una persona disabile. Possono avere peccato o, ancor peggio, avere dei demoni. Dio ha fatto loro un test tutto particolare. Devono passare questo esame per provare a Dio che ne sono degni. Nel Levitico 21:17-23 troviamo questo passaggio:
“Il Signore, parlando ad Aronne gli disse: ‘Nelle generazioni future nessuno dei tuoi discendenti che abbia qualche deformità si avvicinerà per offrire il pane del suo Dio; perché nessun uomo che abbia qualche deformità potrà accostarsi: né il cieco, né lo zoppo, né chi ha una deformità per difetto o per eccesso, una frattura al piede o alla mano, né il gobbo, né il nano, né chi ha un difetto nell'occhio, o ha la rogna o un erpete o i testicoli ammaccati’”.
Nel Nuovo Testamento Gesù guarisce gli storpi, ma lo fa scacciando i demoni e/o perdonandoli per i loro peccati. Questo presuppone che i disabili abbiano peccati o demoni in misura maggiore di quelli che non lo sono.
Kim E. Nielson, nel suo lavoro A Disability History of the United States fa un’affermazione molto forte:
“… la storia della disabilità è stata spesso la storia di uno stigma e di un orgoglio negato, in particolare quando la discriminazione definisce la disabilità e le persone disabili come imperfette e inadeguate e quando viene usata per creare e giustificare delle gerarchie. Le ideologie discriminanti hanno reso difficile, per i disabili, avere un orgoglio. E come ha scritto Clare: “L’orgoglio non è cosa inessenziale. Senza orgoglio, è molto più probabile che i disabili accettino senza discutere le condizioni della discriminazione quotidiana: disoccupazione, povertà, segregazione ed istruzione sotto gli standard, anni passati chiusi in qualche istituto, violenze perpetrate da coloro che dovrebbero prendersene cura, mancanza di rampe di accesso. Senza orgoglio, la resistenza individuale e collettiva all’oppressione diviene quasi impossibile. Ma per i disabili l’orgoglio non è così facile da trovare. Questa condizione è intrisa di vergogna, rivestita di silenzio, radicata nell’isolamento”.
La sterilizzazione obbligatoria (più di 65.000 americani negli Anni Sessanta, secondo Kim E. Nielson) “e le leggi più restrittive sull’immigrazione nella storia degli Stati Uniti (con limitazioni sui diversamente abili) sono parte della storia sulla disabilità”.
Calvin Coolidge, il 30° Presidente degli Stati Uniti, dal 1923 al 1929
Nel suo discorso sullo Stato dell’Unione del 1923, il Presidente Calvin Coolidge proclamava: “L’America deve essere mantenuta americana. A questo scopo è necessario continuare nella politica di immigrazione restrittiva”. Posto in maniera più diretta, questo significa che c’è qualcosa di imperfetto nelle persone disabili e che vanno sterilizzate affinché il loro numero non aumenti nella società.
Un modo di vedere che è un tentativo di tenere conto della teoria della reincarnazione, ma che è comunque severo nel giudizio, riguardo il perché alcune persone sono portatrici di disabilità fisiche, è che abbiano fatto qualcosa in una vita precedente. Intendendolo come un biasimo compiaciuto nei confronti della vittima, quanto diverso è, comunque, il giudizio che una persona con disabilità sia punita per i peccati di una vita precedente, dalla spiegazione biblica che i diversamente abili hanno portato con sé il male del peccato originale?
Anziché considerare la disabilità come una punizione per un peccato originale o per le azioni di una vita precedente, ritenerla invece come un’opportunità per un bilanciamento del karma, nel contesto della teoria della reincarnazione, non sarebbe una prospettiva più illuminata? Nella rivista Sunrise (febbraio/marzo 1982), Grace F. Knoche, autrice teosofica, ha scritto un articolo intitolato: “Is Life Fair?” [La vita è giusta? NdT], dove include un passaggio da una lettera che aveva ricevuto da uno dei lettori, che diceva:
“Da qualche parte in uno dei numeri della rivista ho trovato un concetto che non amo particolarmente. Magari l’ho frainteso, ma penso che l’idea fosse quella di considerare alcune malattie congenite come una punizione per qualche trasgressione avvenuta in una precedente incarnazione. Tale affermazione mi colpisce perché la ritengo oltremodo ingiusta. L’essere umano non può sapere nulla riguardo alla sua vita precedente e perciò quanto efficace è un castigo se chi viene punito non sa nemmeno, neanche lontanamente, di avere commesso un crimine?”.
Questa la perspicace e compassionevole risposta di Ms Knoche:
“… prima di tutto penso che nessuno possa affermare categoricamente che un bambino nato con una malattia congenita stia in tal modo pagando per qualche misfatto di qualche vita o vite precedenti. Può essere così ma egualmente anche no. È possibile, per esempio, per un’entità che ritorna, dato che siamo prima di tutto anime-spirito, che possa essere tanto avanzata interiormente da scegliere il karma di una grave malformazione, così da ottenere una comprensione più profonda dell’umana sofferenza?”.
Grace Knoche, leader della Società Teosofica di Pasadena dal 1971 al 2006.
La risposta di Ms Knoche è forse una visione più filosofica del perché vi sono portatori di disabilità: l’Ego Superiore della persona ad un certo livello sceglie tale stato, nella vita. La sfida in questo caso può essere considerata un modo per riequilibrare certe tendenze di una o più vite precedenti. La letteratura teosofica ha molto da dire riguardo a quella che viene definita “Birth Vision”, una ricognizione di quello che avverrà nella vita che sta per cominciare. H.P. Blavatsky, nel suo libro La chiave della Teosofia scrive:
“Come l’uomo al momento della morte ha una visione retrospettiva della vita che ha condotto, così, nel momento della sua rinascita sulla terra, l’ Ego risvegliandosi dallo stato di Devachan ha una previsione della vita che lo aspetta e si rende conto di tutte le cause che l’hanno determinata. Le capisce e prevede l’avvenire, poiché è fra il Devachan e il momento della rinascita che l’Ego recupera la propria completa coscienza manasica e ridiventa per breve tempo il dio che fu prima di scendere nella materia e incarnarsi nel primo uomo di carne, in conformità alla legge Karmica.
“Secondo le già citate Disability Stories di Nielsen, la maggior parte delle tribù dei nativi americani insegna:
“… lo spirito sceglie il corpo che andrà a occupare. Pertanto, ciascuna persona è responsabile per chi e per quello che è; non può biasimare gli altri per le imperfezioni del suo corpo. Gli spiriti scelgono i loro corpi fisici così da adempiere il proprio scopo. Se un individuo non ci riesce, non è colpa del suo corpo – a prescindere da cosa esso sia in grado di fare. Se ciò che conta è uno spirito equilibrato, le differenze tra i corpi importano di meno”.
Annemarie Postma, nel suo libro The Secret Within: No Nonsense Spirituality for the Curious Soul [Il segreto interiore: non c’è una spiritualità irrilevante per l’anima curiosa, NdT], postula che la nostra anima faccia la scelta della disabilità:
“…mi risulta chiaro che una forma esteriore “lesa” non è una punizione, ma piuttosto un privilegio che ti permette di vivere a un maggior livello di coscienza e dare il tuo contributo alle vite degli altri. È molto simile al fatto di indossare un vestito fatto su misura, che calza perfettamente, così che tu possa realizzare il compito che la tua anima ha scelto”.
C. Jinarajadasa, in un articolo sulla cecità (Theosophist magazine , 1941), ha scritto:
“Quando… la coscienza è limitata dai Signori del Karma, stiamo sicuri che non è mai da intendersi come una punizione, ma sempre come un’esperienza grazie alla quale l’anima acquisirà quello che le è necessario per la sua evoluzione”.
C. Jinarajadasa, Presidente Internazionale della Società Teosofica di Adyar dal 1945 al 1953.
E aggiunge più oltre:
“Perché nel processo dell’espansione della coscienza alcuni debbano imparare attraverso la cecità e altri no, non lo comprendo. Eppure, si sa dai primi principi che non solo ciò ha un significato, ma che è anche motivo di ispirazione. Un giorno comprenderemo ogni dettaglio di questi processi karmici. Fino a quel giorno, facciamo in modo che la nostra disposizione solidale verso coloro che sono affetti da cecità sia integrata da un atteggiamento di rispetto, come verso chi sta imparando una lezione spirituale che non ci è data sapere”.
L’affermazione di Mr. Jinarajadasa sulla “reverenza” per i disabili merita la nostra profonda attenzione; è da notare che egli non identifica tutto il karma come vendicativo e/o punitivo.
C’è un articolo nella rivista Vidya dell’estate 2016 che ci fornisce una spiegazione della sofferenza che, per questo autore, è molto profonda. Riferisce una conversazione tra il Dalai Lama e Huston Smith, studioso di religioni ora deceduto, riguardo il passaggio biblico di Isaia che mostra il popolo giudaico come prescelto, in quanto tribù errante, a portare la sofferenza di tutta l’umanità. Si suggerisce anche che il popolo tibetano stia ora adempiendo a un destino simile, avendo perso la propria patria. Potrebbero le persone disabili aver intrapreso una strada simile? Forse è stata una scelta, compiuta prima della nascita, di prendere su di sé parte della sofferenza.
Forse tutti quelli che soffrono – soffrono per tutti. Potrebbe essere che quando sperimentiamo la sofferenza abbiamo l’opportunità di una visione più grande? Forse è per questo che ne La Voce del Silenzio è affermato “Guai a quelli che non soffrono”. Perché il dolore è essenziale alla crescita spirituale? Fa parte del dharma personale il promuovere l’appagamento, il divertimento, l’incolumità e la sicurezza. È dharma dell’Anima favorire il cambiamento, la crescita e il divenire – e di qui la sofferenza. Ciascuno stadio di sviluppo verso livelli più elevati di coscienza comporta il dolore del lasciar andare, lo stadio precedente. Il significato della disabilità potrebbe essere, almeno per molti, l’opportunità di una crescita.
Non stiamo qui affermando che quella sofferenza che Victor Frankl ha descritto nel suo Man’s Search for Meaning [La ricerca di significato dell’uomo, NdT] (campi di concentramento, torture e fame) sia la stessa di cui soffre un disabile, ma per certi versi le si avvicina. Egli descrive il pesante fardello che coloro che soffrono prendono su di sé: “Tali compiti, e pertanto il significato della vita, è diverso da uomo a uomo e da momento a momento. Pertanto, è impossibile definire il significato della vita in modo generale”.
Frankl continua:
“Abbiamo superato molto tempo fa la fase in cui si chiedeva quale fosse il significato della vita, una domanda ingenua che concepisce la vita come il raggiungimento di un qualche scopo attraverso la creazione attiva di qualcosa di valore. Per noi, il significato dell’esistenza abbraccia i più ampi ambiti della vita e della morte, del soffrire e del morire”.
Frankl spiega ulteriormente:
“Una volta che il significato della sofferenza ci è stato rivelato, rifiutiamo di minimizzare o ridimensionare le torture nei campi ignorandole o covando false illusioni e nutrendo un ottimismo artificiale. La sofferenza è divenuta un compito al quale non vogliamo sottrarci. Ne abbiamo compreso le opportunità celate per la nostra realizzazione, quelle stesse che fecero dire al poeta Rilke: ““Wie viel ist aufzuleiden!” (Quanta sofferenza c’è da affrontare!). Rilke ha parlato di ‘farsi strada attraverso la sofferenza come altri parlerebbero di farsi strada nel lavoro'”.
La citazione di Frankl da Dostoevsky: “C’è solo una cosa che temo: non essere degno della mia sofferenza”, va al cuore della ricerca di significato che è sepolta in tutti noi. Ci perseguita la domanda del perché abbiamo proprio determinate persone attorno a noi: la nostra famiglia, i nostri amici, la carriera, gli affari, ecc. Essa ci porta alla questione della coscienza, al perché siamo qui e come è accaduto. Perché scegliamo questo percorso? Le prove e le sofferenze della nostra esistenza sono correlate al nostro destino cosmico?
Questo è particolarmente importante per i disabili, perché da qualche parte tale domanda risuona loro dentro.
Fine
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Riflessione del direttore
Ci vuole molta fiducia, amore di sé e senso del proprio valore per comprendere che si è capaci e che si ha ogni diritto ad abbandonare la strada e fare cose, proprio come fanno gli altri….
citazione da Allan Hennessy
Link to English version:
http://www.theosophyforward.com/articles/theosophy/2131-disability-karma-and-meaning